Matera a piedi nudi nella storia – Due giorni di silenzio, roccia e meraviglia
A volte bastano due giorni per sentirsi lontanissimo da tutto, anche se non hai preso un aereo. A me è successo a Matera, parcheggiando il camper in un agricamper appena fuori città, circondato da ulivi, terra cruda e quel silenzio che ha sempre qualcosa di sacro.
Abbiamo lasciato il camper appena la canicola ha lasciato il suo ardore, zaino in spalla, e ci siamo incamminati lungo il sentiero che scende verso la gravina, quella gola scolpita dal fiume che sembra separare due mondi: la natura aspra e primitiva da una parte, e la città dei Sassi che ci guarda dall’alto, scavata nella pietra, eterna.
Il trekking è stato più di una camminata: è stato un attraversamento. Il fiume in basso, i rapaci in volo sopra la testa, e intorno a noi grotte, rovine, antichi eremi incastonati nella roccia come occhi dimenticati dal tempo. Le pareti erano vive di muschio, vento e storie mute. Ogni tanto ci si fermava a guardare in alto: Matera sembrava fluttuare sospesa, impossibile.
E poi, all’improvviso, si sbuca sotto la città. Il sentiero si arrampica, si stringe, si fa gradino. Fino a quando ti ritrovi nei Sassi, col cuore che batte ancora forte – e non solo per la salita. È una sensazione strana: arrivare a Matera “dal basso”, quasi a chiedere permesso. Non come turista, ma come pellegrino.
Abbiamo passato il secondo giorno perdendoci tra viuzze, scale, archi e improvvisi silenzi. Matera non è solo bella: è densa, profonda, piena di memoria. Ogni pietra qui ha ascoltato vite intere. Ci siamo fermati spesso, anche solo per sentire l’eco dei nostri passi.
Due giorni non bastano, lo sapevo già. Ma bastano per capire che Matera non si visita: si attraversa. E una volta che ci sei passato dentro, non te la togli più di dosso.